In una riunione a Bruxelles qualche giorno prima di Rosh Ha-Shanà, cui hanno partecipato membri di Jcall da Francia, Belgio, Svizzera, Italia, si è discusso della guerra di Gaza e delle sue conseguenze in Europa, delle difficoltà del negoziato in atto e degli impegni che attendono Jcall, nonché di questioni organizzative, incluse quelle inerenti le difficoltà per un’associazione interamente volontaria di agire efficacemente nella comunicazione sia con le istituzioni e comunità ebraiche sia con le opinioni pubbliche e i governi dei propri paesi.
Il contesto postbellico lascia intravvedere Hamas rafforzato nella percezione dei palestinesi, sia a Gaza che in Cisgiordania, in quanto vessillo della resistenza contro il nemico Israele che ha costretto a negoziare al Cairo al tavolo dei mediatori egiziani. Hamas, isolato e debole prima del conflitto, vanta ora una vittoria, che, al di là della retorica guerresca, ha un qualche elemento di realtà nel confronto con la ANP di Abbas che, pur attivo partner di pace di Israele, dal negoziato dei mesi scorsi non ha ottenuto nulla. In Israele, l’opposizione alla guerra è stata limitata; i sondaggi mostrano al contrario un dissenso diffuso contro la fine delle ostilità e i termini di una tregua che non contempla il disarmo di Hamas né la certezza della “quiete” nel sud del paese. Il governo, per la forza dei partiti di destra e la pressione dei coloni, è paralizzato nella difesa dello status quo nell’illusione – dice il campo della pace israeliano e Jcall con esso – di poter mantenere il regime d’occupazione e contenere il conflitto con i palestinesi “a bassa intensità”.
In Europa, l’irrompere di un antisemitismo vecchio e nuovo, con il confluire di diversi “colori” – rosso, bruno, verde – turba le coscienze, spaventa il mondo ebraico, sembra essere fra i moventi principali dell’accresciuta emigrazione verso Israele (la Francia ne è il caso esemplare).
Circa gli impegni prossimi di Jcall, si è affrontata la questione della probabile domanda di ammissione della Palestina all’ONU come stato membro, non più con lo statuto di mero osservatore come dal 2012. Jcall, che sostiene la soluzione a due stati, vede con favore questo atto, pur ricordando che i termini di un accordo di pace vanno definiti bilateralmente fra le parti. Circa l’iniziativa della UE sulle regole di origine dei prodotti israeliani esportati nella UE, si concorda sul fatto che la distinzione fra beni prodotti in Israele e negli insediamenti è importante, coerente con il diritto comunitario e in linea di principio ragionevole. Ci sono però complesse questioni operative circa le “etichette” che devono identificare le due fattispecie, ma soprattutto vi è il timore che tale iniziativa possa essere usata in modo strumentale nella campagna di boicottaggio contro Israele in campo economico, scientifico o culturale, a cui Jcall fermamente si oppone. Con riguardo agli atti antisemiti (simbolica e toccante una visita al Museo ebraico della città testé riaperto dopo l’attentato del maggio scorso), Jcall ritiene come altri che all’azione di vigilanza e repressione dei governi si devono unire la denuncia della società civile e l’impegno soprattutto del mondo islamico a recidere legami, connivenze, silenzi con le componenti fanatico-fondamentaliste. Le reazioni avutesi di recente in Germania e Italia infondono speranza in questo senso.
Sul piano operativo si è deciso di organizzare in più città d’Europa visite di membri di Parents’ Circle – l’associazione israelo-palestinese di famiglie di vittime del terrorismo e della guerra – e di deputati della Knesset attivi nel Forum parlamentare contro l’occupazione. Ci si adopererà inoltre per rapporti più stretti con le istituzioni europee – l’Alto rappresentante per la politica estera Mogherini e il Parlamento europeo. Infine, si osserva una debolezza di Jcall difficile da colmare ma urgente dopo quattro anni di attività di un’associazione che si vuole paneuropea: mancano sezioni attive in paesi importanti, quali la Germania, l’Olanda, l’Est europeo.
Giorgio Gomel
fonte : Hakeillah