Le domande che riportiamo di seguito sono alcune tra le domande che noi tutti ci poniamo. Le risposte, pur incomplete, ci incoraggiano alla riflessione.

A. Perché JCall?
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Che cosa è JCall?

JCALL è un movimento di ebrei di più paesi europei uniti dall’aspirazione a una soluzione di pace tra Israele e palestinesi basata sul principio di “due popoli-due stati”.

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Quali sono le vostre motivazioni?

Abbiamo in comune un forte legame con lo stato di Israele nonchè un profondo sentimento di preoccupazione per il suo futuro. Proprio perché siamo così legati all’esistenza e sicurezza di Israele ci preoccupa il fatto che il protrarsi dell’occupazione di territori palestinesi minaccia l’identità dello stato di Israele e rende impossibile una pace durevole nella regione. Crediamo che sia i portante far sentire una voce ebraica europea, distinta da quella delle istituzioni ufficiali, e impegnata attivamente in favore della pace nel Medio Oriente.

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Non spetta al governo israeliano e solo ad esso definire la politica del paese?

Siamo consapevoli che il negoziato e le decisioni che ne conseguono sono nelle mani degli organi democraticamente eletti dal popolo israeliano. Ma un processo di pace così complicato può trovare sostegno al di fuori di Israele, per esempio in Europa e negli Stati Uniti, fra gli amici sinceri di Israele. Di fatto, non solo gli israeliani ma gli ebrei in genere sono coinvolti nelle sorti di Israele, ed è quindi logico che si pronuncino sulle sue prospettive e sulle sue scelte.

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Qual è la ricetta di JCall?

Non pensiamo di avere ricette facili e già pronte. Ma crediamo che la sopravvivenza di Israele come stato democratico abbia come condizione che accanto ad esso si formi uno stato palestinese sovrano, che vi siano garanzie di sicurezza adeguate per entrambi e che le minoranze nei due stati siano garantite nei loro pieni diritti. Noi appoggiamo la soluzione che gode del maggiore consenso internazionale e che, secondo i sondaggi, è condivisa dalla maggioranza dei due popoli, israeliano e palestinese.

B. La pace è difficile, ma possibile
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Ma i palestinesi non riconoscono Israele

In verità, la leadership palestinese in Cisgiordania – l’OLP – ha riconosciuto Israele per la prima volta nel 1988; ne è seguito un riconoscimento reciproco fra Israele e l’OLP con gli accordi di Oslo-Washington del 1993. Mahmoud Abbas, Presidente dell’Autorità palestinese, afferma la necessità dei due stati da ben prima di allora e ha contribuito attivamente al riconoscimento dell’esistenza di Israele. A non riconoscere l’esistenza di Israele resta Hamas nella Striscia di Gaza. L’insistenza del governo Netanyahu sul riconoscimento di Israele come stato ebraico è una novità. È bene ricordare che il piano di spartizione delle Nazioni Unite del 1947 menzionava già uno “stato ebraico” e uno “stato arabo”. Israele ha poi firmato trattati di pace con Egitto e Giordania senza riferimenti alla “ebraicità” dello stato. Noi appoggiamo la soluzione con due stati con confini sicuri e riconosciuti all’interno dei quali essi possano definirsi come desiderano.

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Ma esiste un partner palestinese per la pace?

Sono circa vent’anni che Israele e l’Autorità Palestinese cooperano in diversi ambiti, inclusi la sicurezza e l’economia. I dirigenti palestinesi in Cisgiordania sostengono una soluzione di coesistenza tra due stati e il ricorso alla trattativa diplomatica per giungervi. Rifiutando di negoziare oggi con questi interlocutori, Israele rischia di dover affrontare in futuro posizioni più intransigenti. Il fattore tempo non gioca a favore di Israele.

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Gli insediamenti israeliani dove risiedono oltre 300.000 persone non rendono impossibile il ritiro di Israele da questi territori e la creazione di uno stato palestinese compiutamente sovrano?

La colonizzazione ebraica dei territori è uno degli ostacoli principali a un accordo di pace. Occorre porvi fine. Israele ha rimosso negli anni scorsi le colonie dal Sinai, da Gaza e in alcuni casi isolati dal nord della Cisgiordania. Questo è un precedente politico importante. Ovviamente l’evacuazione dei grandi insediamenti in Cisgiordania è ben più complessa e implica costi umani rilevanti. Ma lo scambio paritario di territori nell’ambito di un accordo di pace – come proposto da molte parti -consentirà alla maggior parte degli israeliani che vivono di là della Linea Verde del 1967 nei “settlement blocs” di restare nel territorio che diventerà parte integrante di Israele. Altri abitanti degli attuali insediamenti saranno reinseriti all’interno di Israele, con adeguati indennizzi economici. Infine, i coloni più irriducibili dovranno conformarsi alle regole della democrazia e non potranno in alcun caso dettare a Israele decisioni così importanti per il suo futuro.

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Le due parti accetteranno di fare concessioni su Gerusalemme?

Gerusalemme è una città divisa, nei fatti, fra la Gerusalemme ovest, ebraica, e la Gerusalemme est, araba. Vi sono molte proposte che consentirebbero ai due popoli di convivere nella stessa città, fisicamente unita, ma capitale dei due stati – dello stato di Israele, la Gerusalemme ebraica, dello stato di Palestina, quella araba.

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Israele si è ritirata da Gaza e dal sud del Libano. Ma Hamas e Hezbollah ne hanno fatto basi del terrorismo. Non è questa una prova del fatto che ogni ritiro dai territori mette in pericolo la sicurezza del paese?

A differenza dei trattati di pace con Egitto e Giordania, questi sono stati ritiri unilaterali senza un negoziato che prevedesse una responsabilità reciproca tra le parti e un dispositivo di sicurezza concordato con palestinesi e libanesi. Questo ha permesso ai terroristi di cantare vittoria e di proclamare che il ricorso alla violenza aveva sconfitto gli israeliani.

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Può Israele essere al tempo stesso uno stato ebraico e una democrazia? Uno stato non cessa di essere democratico quando privilegia una parte della sua popolazione a danno di un’altra?

La funzione di uno stato moderno e democratico è di essere patria di tutti i suoi cittadini e di garantire i diritti di cittadinanza a tutte le sue minoranze interne. Nel lungo termine Israele non potrà gestire la tensione che deriva dall’attuale discriminazione nei confronti della popolazione araba a meno che si crei uno stato palestinese accanto a Israele. Se questo non avverrà, gli ebrei di Israele rischiano di diventare minoranza e saranno costretti a una scelta lacerante: tra essere una democrazia o essere uno stato ebraico che discrimina i non ebrei al suo interno.

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Perché dovrei sostenere uno stato che pretende talora di agire in mio nome come ebreo, quando questo stesso stato agisce in contraddizione con i miei valori?

La democrazia israeliana funziona, anche se in modo imperfetto. I valori ebraici fondamentali, così come enunciati nella Dichiarazione d’indipendenza, sono in contrasto con l’occupazione militare dei territori palestinesi e del trattamento discriminatorio della minoranza araba in Israele. Il nostro sostegno va a tutti coloro che in Israele lottano per il rispetto di quei valori fondamentali.

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Ma le linee di confine del 1967 sono difendibili?

Il 19 maggio del 2011 il Presidente Obama dichiarava: “Noi pensiamo che le frontiere di Israele e della Palestina debbano basarsi sulle linee di demarcazione del 1967, nel quadro di scambi di territorio concordati reciprocamente, in modo che si stabiliscano frontiere sicure e riconosciute peri due Stati.” Di fatto, le linee di confine del 1967 si sono rivelate difendibili in tutte le precedenti guerre. Una frontiera riconosciuta internazionalmente, nell’ambito di accordi di sicurezza regionale simili a quelli negoziati con l’Egitto e la Giordania, può proteggere con maggiore efficacia Israele da missili a lunga gittata, dall’isolamento internazionale e dal terrorismo.

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La minaccia nucleare dell’Iran: è desiderabile un’azione militare preventiva di Israele?

La minaccia nucleare di un paese che proclama la propria volontà di distruggere Israele non può essere presa alla leggera. Come affrontarla senza perdere di vista l’urgenza di pervenire a una soluzione del problema palestinese? Secondo gli esperti militari, un’azione militare preventiva potrebbe al più ritardare di 2-3 anni lo sviluppo dell’arma nucleare iraniana. Una tale azione rischierebbe di sortire l’effetto di unire il popolo iraniano a sostegno di un regime dittatoriale
impopolare. Le conseguenze di una deflagrazione della regione sarebbero spaventose. Una pressione diplomatica continua, abbinata a un regime di sanzioni adeguate, appare più efficace.

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Le campagne di boicottaggio e i tentativi di delegittimare l’esistenza di Israele non rappresentano delle minacce più gravi per l’unità del popolo ebraico che non la mancata risoluzione del conflitto?

JCall ritiene che gli sforzi per delegittimare Israele siano ingiusti e inutili. Queste campagne sono conseguenza dell’assenza di una soluzione al problema palestinese e all’occupazione dei Territori. Sono testimonianza di un deterioramento della situazione e dell’esasperazione di una frangia dell’opinione pubblica internazionale. Il mantenimento dell’occupazione senza la prospettiva di un accordo di pace costituisce un fattore di divisione del popolo ebraico assai più serio delle campagne di boicottaggio.

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Chi siamo ?

Dopo la pubblicazione dell’Appello alla ragione sulla base del quale è nato in diversi paesi europei JCall, un movimento d’opinione ebraico impegnato nel sostegno al negoziato tra israeliani e palestinesi al fine di giungere a un accordo di pace fondato sul principio di “due popoli-due stati”, abbiamo costituito un’associazione italiana, JCall-Italia.
Sezioni di JCall sono oggi operanti in Francia, Belgio, Svizzera, Olanda, Germania e Italia. Per richieste e per associarvi potete scriverci all’indirizzo [email protected]; per trovare maggiori informazioni sull’appello alla ragione e sulle nostre iniziative potete andare sul sito www.jcall.eu.
Se volete sostenerci, il vostro contributo può essere versato sul conto corrente di JCALL-Italia presso la filiale di Banca Etica, Via Parigi 17, Roma; IBAN: IT10D0501803200000000150008