L’immobilismo del governo di Israele, il fallimento dei negoziati condotti con la mediazione Usa fino alla scorsa primavera, la guerra inutilmente distruttrice fra Israele e Hamas, la continua espansione degli insediamenti israeliani in Cisgiordania e il ritorno alla violenza soprattutto a Gerusalemme hanno infatti spinto l’Autorità palestinese a ottenere il riconoscimento della Palestina da parte dell’Onu.
Tutto ciò è una sconfitta per tutti e un motivo di frustrazione profonda per coloro, come chi scrive, che ritengono che una soluzione del conflitto negoziata tra le parti basata sul principio di “due stati per due popoli” sia una necessità pragmatica e non rinviabile sia per gli israeliani che per i palestinesi.
Palestina, osservatore non membro dell’Onu
Tre anni fa la Palestina divenne paese osservatore “non membro” dell’Onu. In quella occasione, un documento di JCall esprimeva preoccupazione unita a un appiglio di speranza.
Preoccupazione per l’isolamento di Israele, che si è fatto nel frattempo via via più acuto nel mondo anche nei rapporti con gli Stati Uniti e l’Unione europea, ma anche fiducia che la ripresa di negoziati diretti fra le parti poi avviatisi nel 2013 avrebbero condotto a un accordo anche parziale sulle tante questioni irrisolte – confini, insediamenti, meccanismi di sicurezza, rifugiati, lo status di Gerusalemme.
Con il riconoscimento di uno stato, il conflitto diventerebbe un conflitto più “normale” , di natura politico-territoriale fra due stati, invece che fra l’occupante e un movimento irredentista sul quale gravano ancora l’eredità guerrigliera dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina e le istanze dei profughi palestinesi dispersi nei paesi del Medio Oriente.
Riconoscimento reciproco
Inoltre, il riconoscimento di uno stato palestinese sarebbe il compimento della risoluzione 181 dell’Onu del novembre 1947 che prefigurava la spartizione della Palestina-Eretz Israel fra uno stato ebraico e uno arabo. Per Israele ciò sarebbe una conferma del riconoscimento da parte della comunità delle nazioni dell’esistenza legittima dello stato ebraico nelle frontiere scaturite dalla guerra d’indipendenza del 1948-49.
A riconoscere tutto ciò sarebbero anche i paesi arabi e islamici che ancora oppongono un rifiuto ideologico.
Come affermano i firmatari israeliani – intellettuali, ex- ministri e parlamentari – di un appello ai Parlamenti e governi europei in favore del riconoscimento: “l’esistenza e la sicurezza di Israele dipendono dalla creazione di uno stato palestinese accanto e in rapporti di buon vicinato con Israele. Non c’è alternativa al riconoscimento reciproco delle due entità nazionali, sulla base delle frontiere del 4 giugno 1967, con modifiche territoriali minori e concordate”.
Gesto simbolico
Allorché l’Autorità nazionale palestinese (Anp) chiede alle nazioni di riconoscere lo stato di Palestina e i parlamenti e governi dei paesi dell’Ue dibattono del tema, ritengo che tale atto sia coerente con il sostegno della soluzione “ a due stati”.
Certamente si tratta di un gesto in larga parte simbolico, dato che il controllo del territorio dell’eventuale stato sarebbe di fatto limitato all’area A della Cisgiordania (appena il 20%). L’area B, pur amministrata dall’Anp, resta sotto la giurisdizione militare israeliana. L’area C, che occupa il 60% della Cisgiordania, pur scarsamente popolata, è sotto il pieno controllo di Israele.
Inoltre Gaza resta nelle mani di Hamas e priva di un legame fisico e politico con la Cisgiordania, nonostante la formazione di un governo unitario, in virtù del quale la stessa Anp dovrebbe essere riconosciuta come unico governo legittimo della Palestina nella sua interezza (Cisgiordania e Gaza) e l’impegno ad affidare alle sue forze di sicurezza il controllo dei punti di passaggio fra Israele, l’Egitto e la striscia di Gaza.
Questo atto simbolico dovrebbe essere sostenuto da un’azione congiunta di pressione degli Stati Uniti e dei paesi della Ue con il ricorso ad adeguati “bastoni” e “carote” per la ripresa di negoziati seri fra le parti.
Andrebbe in questo senso una risoluzione che, secondo notizie di stampa, Francia, Germania e Gran Bretagna sarebbero sul punto di presentare al Consiglio di sicurezza. Essa includerebbe i parametri di un accordo basato sulla soluzione “a due stati” e un impegno a giungervi entro due anni; solo allora inizierebbe il ritiro di Israele dalla Cisgiordania.