Foto del Giordano
L’attenzione al degrado ambientale e alle misure necessarie per contenere gli effetti avversi dei mutamenti climatici è tardiva e ancora assai limitata in Medio Oriente. Eppure, le statistiche disponibili dipingono una realtà molto preoccupante.
Lungo le coste del Mediterraneo orientale le temperature sono aumentate mediamente di 2° C dagli anni ’50 e le previsioni correnti preconizzano un loro incremento di altri 4° C entro la fine del secolo. La scarsità crescente di risorse idriche è un processo in atto: i climatologi prevedono una drastica riduzione delle precipitazioni negli anni a venire. Il Mar Morto lungo il confine fra Israele e Giordania si va depauperando sia a causa dei ripetuti prelievi idrici dal fiume Giordano operate nel corso degli anni da Israele, Giordania e Siria sia per i danni inquinanti prodotti dalle industrie minerarie israeliane lungo le sue coste.
Israele, che pure è sulla frontiera in materia di tecnologie ambientali – nell’agricoltura, nella desalinizzazione, nella conservazione di energia solare – che esporta anche ad economie maggiori quali Cina e India, non sarà in grado di conseguire gli obiettivi di zero emissioni nel 2050 – ha rivelato Tamar Zandberg, ministro dell’ambiente nel nuovo governo di coalizione, esponente del partito di sinistra Meretz.
Le ragioni di ciò sono la latitanza dei governi precedenti sul fronte ambientale, il forte incremento demografico del Paese, ed anche il ricorso a giacimenti massicci di metano recentemente scoperti per la produzione di energia. Tuttavia, per la prima volta nella storia del Paese, il Parlamento israeliano discute di un disegno di legge in materia di clima e di transizione ad un’economia a basso contenuto di carbonio.
Green-blue deal
Una sensibilità fattiva in questo ambito nonché al legame fra difesa dell’ambiente e un assetto di coesistenza pacifica nella regione ha spinto Ecopeace Middle East – l’unica Ong trilaterale, israelo-palestinese-giordana attiva sul campo da oltre venti anni – a proporre un piano d’azione articolato detto “green-blue deal” illustrato anche alla Cop26, la Conferenza sul clima di Glasgow. La dimensione “green” riguarda lo sviluppo di energie rinnovabili al fine di ridurre i danni da emissioni di CO2; quella “blue” concerne l’acqua, le modalità con cui produrre e distribuire risorse idriche in quella parte del Medio Oriente. Si noti che un’intesa sull’acqua è stata parte integrante dei negoziati che precedettero e seguirono il trattato di pace di Oslo del 1993.
Il piano, audace nei contenuti e nelle finalità, va assai al di là di quanto Ecopeace ha fino ad ora concorso ad attuare, in particolare la riabilitazione del fiume Giordano, attraverso il trattamento delle acque reflue e il trasferimento di acque pulite dal lago di Tiberiade. Esso si compone di più parti, esige corposi investimenti finanziari e un impegno cooperativo. Le premesse sono peraltro positive perché iniziative precedenti dimostrano come in materia di ambiente in quella parte del Medio Oriente così geofisicamente interconnessa il gioco non è “a somma zero” – vi è infatti una confluenza positiva di interessi e benefici; infine, la protezione dell’ambiente è anche uno strumento efficace di coesistenza e pace. I diritti dei palestinesi a risorse idriche adeguate potrebbero essere conseguiti senza ridurre la disponibilità di acqua per gli israeliani: si dovrebbe consentire ai palestinesi di accrescere l’estrazione da falde acquifere mentre Israele la riduce nel proprio territorio e accentua la desalinizzazione che già assicura quasi il 70% del fabbisogno di acqua potabile del paese.
Barattare l’acqua con il sole
L’essenza e l’originalità del progetto risiedono nello scambio fra energia solare e acqua. La Giordania con le sue vaste aree desertiche gode di vantaggi comparativi nella produzione di energia solare, sostenuta finanziariamente da contributi della Banca europea degli investimenti (Eib) e dalla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Ebrd).
Israele e Palestina godono di vantaggi rispetto alla Giordania data la loro contiguità con le coste del Mediterraneo nel produrre acqua potabile attraverso tecnologie di desalinizzazione. La Ue sta contribuendo con ingenti investimenti alla costruzione di un impianto del genere nella striscia di Gaza. La Palestina diventerebbe così meno dipendente da Israele per forniture di energia solare e acqua. Inoltre, il Congresso e l’Amministrazione americani hanno introdotto il Middle East Partnership for Peace Act (Meppa) – che stanzia 250 milioni di dollari da destinarsi su un orizzonte di 5 anni in parte allo sviluppo economico del settore privato palestinese e in parte ad iniziative di “people-to-people” da svolgersi sotto l’egida di Ong israelo-palestinesi. Parte di questi finanziamenti potrebbero essere erogati a progetti di carattere ambientale.
Nello scambio che Ecopeace promuove l’energia solare prodotta dalla Giordania potrebbe essere ceduta in parte alle reti israeliane e palestinesi. Gli impianti di desalinizzazione in Israele e in Palestina (Gaza) alimentati da energia solare potrebbero rifornire di acqua le fonti locali e altresì alleviare la scarsità di risorse idriche in Giordania. Impianti di trattamento di acque reflue in Palestina e Giordania e produzioni agricole mosse da energia solare potrebbero inoltre consentire un aumento cospicuo nella produzione alimentare.
Giorgio Gomel
fonte : Affarinternazionali 12 Nov 2021