Parliamo di Palestina : elezioni e il resto

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I palestinesi sono largamente impotenti, divisi fra il moderatismo di Abu Mazen e l’assolutismo ideologico di Hamas. Non sono cittadini del “non stato” in cui vivono – le aree A e B della Cisgiordania dove l’ANP esercita la sua limitata giurisdizione e dove non esercitano da 15 anni il diritto di voto – né votano per le istituzioni dello stato – Israele – che controlla la loro esistenza quotidiana.

LO STALLO ISRAELIANO-PALESTINESE
Nel frangente attuale sono ostracizzati da parte rilevante dello stesso mondo arabo che osteggia con malcelato fastidio e quasi insofferenza le loro istanze di uno stato indipendente, sospinto da una convergenza di interessi con Israele e contro l’Iran fino a stabilire pieni rapporti diplomatici con lo stato ebraico.
I recenti accordi di normalizzazione fra Israele e alcuni stati del golfo hanno sancito un assetto che, in opposizione con una lunga tradizione condivisa dai paesi arabi e ratificata dall’iniziativa di pace della Lega Araba del 2002, subordinava pace e normalità di rapporti con lo stato ebraico ad un accordo con i palestinesi che ponesse fine all’occupazione e portasse alla nascita di uno stato palestinese sovrano.
Eppure, se non si giunge ad una ripresa delle trattative sotto la spinta dell’Amministrazione Biden e con l’appoggio della UE e di altri attori – trattative dirette fra le parti sono state interrotte dall’ultimo tentativo fallito del 2014 – e da lì ad un accordo sui confini, gli insediamenti e lo status di Gerusalemme, la stessa nozione di “due stati per due popoli” affermatasi come paradigma negli anni ’80, ratificata poi dal trattato di Oslo e tuttora riconosciuta come unica soluzione possibile del conflitto dalla comunità delle nazioni, rischia di evaporare nel mondo della mitologia.
L’espansione delle colonie e dei coloni israeliani nei territori (450.000 in Cisgiordania e oltre 200.000 in Gerusalemme Est), la confisca di terre possedute da soggetti privati palestinesi, la demolizione di case e strutture nell’area C che costringe gli abitanti all’abbandono di luoghi di residenza, rendono da tempo il formarsi di uno stato palestinese che abbia contiguità ed effettiva sovranità un esito via via più arduo da raggiungere nei fatti.

L’IPOTESI ELETTORALE PALESTINESE PER IL 2021?
Nel settembre 2020 i due irriducibili antagonisti del mondo palestinese – Fatah e Hamas – giunsero ad un accordo che lungi dallo statuire un processo di piena riconciliazione ed un governo transitorio di unità nazionale prefigurava però lo svolgersi di elezioni parlamentari (il Consiglio legislativo palestinese) e presidenziali, rispettivamente nel maggio e luglio di quest’anno. A tale fine si sono registrati per il voto 2,6 milioni di elettori (numero in linea con le stime del Palestinian Central Bureau of Statistics, secondo cui sono 2,8 gli aventi diritto al voto). Ben 25 liste hanno presentato nomi di candidati.
Le difficoltà insorte nel frattempo hanno reso il processo elettorale via via più complesso. L’ ANP ha chiesto ad Israele di consentire il voto ai residenti arabi di Gerusalemme Est (valutati in circa 350.000). Si osservi che costoro godono di uno status di residenti permanenti di Israele, in conseguenza dell’annessione della parte orientale della città attuata da Israele dopo la guerra del 1967, ma non riconosciuta dal diritto internazionale.
Come tali essi possono partecipare alle elezioni municipali di Gerusalemme; non sono peraltro soggetti all’ANP perché non sono cittadini di alcuno stato, ma possono essere elettori ed eletti nella stessa ANP. Essi votano quindi per eletti che non esercitano in realtà alcun controllo sulla loro esistenza quotidiana. Hanno peraltro potuto votare nel 1996 e nel 2005-06, allorché Hamas riscosse un successo inatteso e molti dei suoi eletti furono poi arrestati dalle autorità israeliane. Fino ad oggi il governo israeliano non ha risposto formalmente alla richiesta in merito. Anzi ha impedito più volte manifestazioni elettorali e posto in stato di fermo o di arresto alcuni candidati avversi all’ANP, in particolare di Hamas.
Tale atteggiamento di Israele ha fornito ad Abu Mazen un motivo effettivo o un pretesto strumentale – secondo alcuni – per posporre le elezioni. Il suo movimento – Fatah – è infatti debole, scisso in più fazioni.
Nonostante le minacce rivolte a candidati che si pongono al di fuori della lista ufficiale, potrebbero concorrere Mohammad Dahlan, già espulso dal Fatah e esiliato negli Emirati arabi, e Nasser al-Qudwa, nipote di Arafat, ex delegato dell’OLP alle Nazioni Unite ed ex Ministro degli esteri della ANP. Anche lui è stato espulso in modo dispotico dal Fatah e appare ottenere sostegni e suffragi soprattutto in settori indipendenti della vita politica palestinese e fra esponenti attivi della società civile.
Abu Mazen soccombe nei sondaggi per le elezioni presidenziali nelle quali Ismail Hanyeh, il candidato di 3 Hamas, lo sconfiggerebbe. Solo Marwan Barghouti, in carcere in Israele per condanne all’ergastolo per omicidio, potrebbe, qualora partecipasse al voto con una lista separata da Fatah, sopravanzare sia Abu Mazen che Hanyeh.
Anche per Hamas il contesto non è così facile, almeno per le elezioni parlamentari: anni di governo quasi dittatoriale nella striscia di Gaza, il suo persistere in una sciagurata ed inutile guerra di guerriglia con Israele, la gravità della situazione umanitaria ed economica compromettono la sua campagna; né sarà possibile ripetere il successo del 2006 allorché le accuse di nepotismo, burocrazia, corruzione rivolte al Fatah, partito egemone nella ANP, furono un elemento di forza per Hamas.

Giorgio Gomel

fonte CeSPI 30 aprile 2021

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